Adesso che sei qui
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Mariapia Veladiano
2021
Raccontata in prima persona dalla nipote (Andreina), è la storia di zia Camilla, della sua famiglia, del piccolo paese vicino al lago di Garda dove si svolgono gli avvenimenti. La novità della narrazione, a mio avviso, consiste nell’affrontare l’Alzheimer cercando di mantenere sempre "...Una dose di felicità che rende la vita migliore... fatta di quel presente che nessuno ha più...".
Il testo è suddiviso in diversi argomenti dai titoli esplicativi. Così l’inizio (Lo chiamano esordio) ritrae zia Camilla in piena estate (30 gradi), che passeggia nella piazza della chiesa con cappotto, cappello, guanti, sciarpa e borsetta. I paesani avvisano la nipote. Questo è l’esordio della malattia "...Come se ci fosse un futuro luminoso... una strada in discesa... qualcosa di bello e nuovo da mostrare a tutti. L'esordio però non è quando la malattia si manifesta... ma quando il mondo la vede...".
Zia Camilla viveva in una bella casa in campagna; coltivava i fiori, faceva la marmellata di rose, indossava gonne a pieghe e camicette bianche, cucinava il risotto con i funghi. Era brava in tutto e generosa "...Ora noi stiamo imparando a non vedere la sua e la nostra paura... la malattia non arriva all’improvviso... compare per qualche minuto a giorni alterni... ci spaventa solo un po' con sintomi che possono essere confusi con gli sfasamenti dell'età... quando capita... la notizia si diffonde e tutti sanno tutto prima che tu abbia potuto attraversare lo stordimento... i familiari commentano... la vecchiaia arriva per tutti... non possiamo tenerla a casa...".
La casa di zia Camilla era sempre stata perfetta, in ordine, ma ora il frigorifero è diventato un unico blocco di cibo di ogni età e di ogni tipo. Non aveva mai avuto bisogno del medico, come suo marito Guidangelo, morto d’infarto senza essere mai stato male. Per visitarla, infatti, Andreina chiama il padre di una sua alunna “Zia viene un mio amico”; che spiegò come negli anziani le demenze spesso arrivano dopo un grande dispiacere, una solitudine improvvisa; anche se non c’erano evidenze scientifiche.
Camilla e il marito non avevano avuto figli, quindi avevano tenuta con loro Andreina. Sua madre aveva sofferto di una malattia mentale. Era stato un inferno che tutto il paese conosceva, ma fingeva di non vedere "...Da piccola sognavo di essere rapita da una mamma di passaggio... alcuni ricordi sono parenti dei desideri... sapevo che stavi in buone mani...". Mi ha detto mia madre tanti anni dopo. "...Può essere Alzheimer...". È la diagnosi emessa da tre dottori, che consigliano di tenere Camilla a casa. "...All'improvviso il tempo si strappa e casca il mondo di prima... rimane il pensiero... e adesso?... non crediamo mai che la vita possa rovesciarsi da un giorno all’altro... che tutto possa essere condizionato da un evento impensabile...". A questo punto arrivano le ricerche su internet; le storie degli altri "...Non aveva quasi niente dell’Alzheimer... solo il cappotto in un giorno d’estate... ma... lei capiva e percepiva la sua confusione...".
Camilla era ancora bella; andava in bicicletta, accudiva il suo grande cane, Pedro; si occupava della casa e dell’orto "...La sua memoria affettiva era ancora perfetta... mi adorava, anche se non era sempre sicura di chi fossi... un giorno la mia vita sarebbe stata senza zia Camilla... lo sapevo... lei non era mia madre, ma mi aveva amata con l’amore assoluto di una madre e anche di più..." Nonostante tutto comunque "...Gli affetti erano ancora perfetti... la mia vita era ancora possibile...". Anche se una rivista americana ha definito l’Alzheimer "...La morte che si lascia dietro il corpo...".
Il marito di Camilla era morto da cinque anni, quindi spettava alla famiglia (fratelli, sorelle, zii, cugini), decidere cosa fare "...Io avevo marito e due figli, e non potevo farcela...". Del resto era opinione comune che "...Nessuno poteva tenere a casa un malato di Alzheimer...". Restava la scelta di una Residenza non troppo lontana. Però "...Camilla non era mia madre, ma io ero sua figlia... e decido di abitare con lei, di lasciarla in un ordine che le è familiare... ho capito che aveva bisogno di aiuto... sapevo di volerla felice...". La famiglia approva. "...L'equilibrio mentale è fragilissimo. Non ci pensiamo finchè funziona tutto... la malattia mentale è un tradimento nel momento in cui ci capita... così dimentichiamo che... la nostra vita è sempre interdipendente…anche se fingiamo di essere autonomi...".
La prima badante si chiama Merhawit (nome che significa Salvatrice) "...Sentivo che quella ragazza aveva vita da regalare... aveva un mare calmo dentro. La zia le piaceva, io le piacevo, la casa le piaceva. Una giovane donna arrivata da lontano per trovare una nuova vita, e una donna ormai grande che cercava di ritrovare la sua...".
Merhawit vedeva in anticipo i silenzi smarriti di Camilla e la portava fuori dal suo sprofondare. Si raccontavano le loro storie, curavano l’orto, cucinavano piatti delle diverse tradizioni; e in inverno guardavano le farfalle Vanessa, che rallegravano l’aria quando tutto sembrava morto. La testa candida di Camilla e i ricci scurissimi di Merhawit spesso si sfioravano "...Perfetta armonia del mondo... mi sentivo impegnata a rendere la sua vita da malata una buona vita...".
Quando Merhawit parte per la Svizzera, arriva Naima con i suoi due bambini. Da tempo faceva la commessa in Italia; veniva dall’Algeria e il marito italiano era sparito. "...Quel che non è coincidenza, è provvidenza..." diceva sempre Camilla, che si fa convincere "...È una mamma giovane con due bambini e non sa dove andare...". Essere vicino ad una donna fragile le permetteva di sentirsi meno fragile. Naima si prese carico della zia, della casa e dei suoi bambini: Qasim, il più grande, che giocava con la zia e Fuad, più piccolo che lei si divertiva a coccolare. Insieme trascorrevano giornate a riparare cose (un vecchio arcolaio), a fare foto con la macchina di Camilla, a camminare nell’orto. "...I bambini ridevano... Naima era felice e la zia viveva...". L’atmosfera era quella che Andreina si ricordava da bambina, quando la vita era scandita dagli orari di sempre; dall’odore dell’orzo, dal latte appena munto. "...Essere amati incondizionatamente è un’esperienza che nessuno potrà mai toglierci... avrei potuto fare qualunque cosa, ma zia Camilla e zio Guidangelo mi avrebbero sempre amata. Non c’era niente da spiegare...".
Un giorno Naima riceve la notizia che sua madre sta morendo, quindi deve tornare in Algeria per qualche giorno. Il fratello della zia, Alfonso (sacerdote) si offre per fare compagnia alla sorella. Dopo tre giorni però Camilla non cammina più; si rifiuta di alzarsi, e gli amici che lui invitava a cena per distrarla hanno destabilizzato i suoi comportamenti. "...Certe malattie sembrano figlie del demonio..." commentava don Alfonso. Per fortuna Naima torna e lo zio viene accompagnato al treno.
Purtroppo non consideriamo mai che "...La fragilità è dovunque e dobbiamo impegnarci per non vederla... poi all’improvviso la vediamo negli occhi sgomenti di chi amiamo quando non ci riconosce; allora dobbiamo decidere se vogliamo ancora scappare, oppure se la fragilità può far parte della nostra vita, dato che forse è la parte più vera di tutte le vite...".
Arriva poi la decisione di prendere un cane alla zia, che aveva sofferto per la perdita di Pedro, e si rivela una mossa vincente. Lui dorme con il muso sui piedi di Camilla; lei gli sorride; quell’affetto le trasforma la vita. Nel frattempo la regione manda tre assistenti a casa di Camilla in giorni diversi. Andreina le presenta come sue amiche. "...Io volevo per lei allegria, fantasia, compagnia: un mondo di relazioni che le permettesse di continuare a provare le emozioni delle persone sane...". Prima della malattia le giornate erano piene di amiche, poi "...L’imbarazzo, la paura di non sapere cosa fare e dire... creano il deserto intorno. La malattia mette di fronte a due strade: vedere solo la normalità perduta... oppure lasciarci portare nella loro realtà... a dire bugie che fanno bene... che rendono più accettabile la vita al malato...".
"...Che belle queste tue amiche che si fermano a prendere il caffè...". e zia Camilla le chiama ragazze. In effetti Almarosa, Nicla e Alice tenevano impegnata la zia in diverse attività. Ricordava le vecchie canzoni, il ballo che amava….ricordava la sua vita. Così è trascorso un anno felice. "...Zia Camilla non è guarita dalla malattia, ma ha vissuto anche nella 5 malattia. Sono stati giorni felici, fatti di tempo presente... di libertà senza programmi... zia Camilla ci regalava la vita come dovrebbe essere...".
Poi, all’inizio dell’inverno la zia si è ammalata di polmonite. Prima è’ stata curata a casa poi ricoverata in ospedale, dove non era mai sola perché tutti venivano a trovarla. Ha lottato con la forza di sempre per due settimane. Un giorno Andreina va a trovarla "...Sei stanca, zia?... si... allora vai... vado?...". E Pedro? "...Ci penso io, stai tranquilla...".
Ai funerali hanno partecipato molte persone, che hanno portato tantissime rose, i suoi fiori preferiti. Andreina ha cercato di vedere Naima e i bambini, ma non avendoli trovati appena può corre a casa della zia. Tutti e tre sono seduti sul letto di Camilla e guardano una farfalla Vanessa che batte le ali sui vetri della finestra.