Racconti di Ezio - Dicono (episodio 1)
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Mi chiamo Ezio e dicono che sto rimbambendo; invece, sapete che vi dico io? Sono loro che non si ricordano nulla.
Dicono che non mi ricordo mai dove ho messo le chiavi; invece, io l’ho capito benissimo che lo fanno apposta a spostarmele dalla solita posizione.
Le lascio sempre sul mobile grande all’ingresso; vabbè ora non c’è più, ma quando c’era era lì che le poggiavo appena rientrato in casa. Il mobile lo abbiamo venduto anni fa o pochi mesi fa, non me lo ricordo, non ho voglia di ricordarmelo. Dicono, sempre loro, che io invece di tenerci il soprabito ci appendevo le buste della spazzatura e quadri e lo decoravo incollandoci i ritagli degli articoli di giornale. Ma non era vero, lo hanno sicuramente venduto a qualche antiquario. Ora, c’è un mobiletto piccolo, con quattro zampette e due cassetti.
Stanno facendo di tutto per farmi diventare matto. Lo scopo è chiaro, lo potete capire anche voi. Mirano a buttarmi fuori da casa mia, mettermi in prigione, insomma in quei posti là che tu neanche da ubriaco ti sogneresti di farci finire il tuo portinaio.
Parlo dei miei figli, quei due disgraziati, che se ne stanno l’uno al Nord e l’altra in giro per il mondo e mai che per sbaglio trovino il tempo per venire a trovare il loro genitore. Da quando è morta mia moglie non mi vuole più bene nessuno. Specialmente questa qui, la donna che abita con me. E non so neanche come si chiami. Ha un nome indiano ma si fa chiamare Rosa, mi sembra. Comunque, per me non è indiana, non ha la pelle rossa, non porta le penne appuntate sui capelli e non fuma il calumet della pace.
A proposito di fumo, lo so che fa male e che forse, come dice il medico mi porterà nella tomba prima del previsto, ma due tre sigarette al giorno sono proprio poche. Rosa o Maria, non mi ricordo mai il suo nome ma tanto non capisce nulla e se le dici anche buongiorno o buttati al fiume lei si avvicina sorridente e mi fa una carezza con le sue mani che profumano o puzzano di mille odori e sapori, tiene il pacchetto e l’accendino nascosti da qualche parte, ma non sono mai riuscito a capire dove, ho perquisito camera sua, ovunque, anche dove non dovevo guardare, ma niente… Poi le sigarette si materializzano per incanto nelle sue mani. Boh…
Però è gentile, i vicini e i negozianti le vogliono bene. Lo vedo quando usciamo sottobraccio, io orgoglioso della mia nuova conquista, lei sorridente che saluta tutti. E tutti che la salutano, alcuni anche troppo. Certo, fanno battute del tipo “quando ti stanchi del vecchio…”, “dai che ti porto a ballare ma non al centro anziani”. La loro è tutta invidia, non hanno la mia classe, la mia cultura, il mio charme e una bella ragazza come questa se la sognano.
Ma torniamo alle chiavi, io lo so che i miei figli le hanno detto di nasconderle per farmi impazzire e poi morire triste e solo in qualche sperduto luogo, in modo da prendersi non solo la casa ma anche tutti i miei averi. In particolare, le mie amate collezioni: tappi di birra, figurine dei calciatori e scatole di fiammiferi provenienti da tutto il mondo.
Mi dispiace, non avranno né la casa né il resto. Quando sentirò la fine vicina darò fuoco a tutto con i tappi di birra e non rimarrà nulla da dividersi se non un po' di cenere mista. A Rosa, Maria o come si chiama le dico di andare a fare un giro o la spesa, non voglio che rimanga coinvolta. In fondo è giovane, anche se complice di quei due maledetti non posso fargliene una colpa. Viene da un paese povero, anche se non so esattamente quale.
Quando c’era mia moglie era tutto diverso, lavoravamo entrambi, lei professoressa, io avvocato. Eravamo benestanti, anche ora lo sono, credo, anche se non so quanti soldi ho in banca, se la casa al mare ce l’ho ancora, sono dieci anni che non vado. Pensano a tutto i miei figli con il telefonino. Ci vuole un attimo a sistemare le cose sopra quello schermo piatto. Possono farci tutto, mi dice RosaMariaNonSoChiè, tutto meno che chiamarmi qualche volta. Sono infatti io che le dico, chiamiamo i miei figli. Raramente ci parlo, una dorme perché dall’altra parte del mondo è notte o è estate e sta facendo un bagno, l’altro è troppo impegnato a tenersi sulle spalle il ponte che ha disegnato per prendere il telefono in mano; metterebbe a rischio le vite di chi vi transita sopra.
E io aspetto; poi un giorno questa ragazza che vive con me li chiamerà, loro risponderanno che ha combinato stavolta e lei tra i singhiozzi, credo, perlomeno per il fatto che dovrà trovarsi un altro lavoro, dirà loro niente, non potrà più combinare niente.
E dovranno partire, occuparsi di mille cose, saranno stressati, malediranno il giorno in cui decisero di non mettermi da parte, in modo da avere tutto il tempo per depredarmi.
Per ora non ci penso, tanto lo so che vivrò ancora abbastanza da rompergli le scatole quel tanto che basta per farli preoccupare ma non troppo affinché si debbano liberare di me.
P.S.: dovreste vedere la scena, RosaMariaChiVuoiCheSia poggia le chiavi all’ingresso, mentre va a posare la spesa io le prendo e le nascondo per casa. Poi le chiedo se le ha ancora in tasca, lei risponde di no. E lì inizia la caccia al tesoro. Vince sempre lei, io non mi ricordo mai dove le metto.
Se qualche volta capitate dalle mie parti, passate a trovarmi in tarda mattinata, che più siamo a giocare più ci divertiamo.