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Racconti di Ezio - La visita (episodio 3)

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Racconti di Ezio - La visita (episodio 3)

Sa! Sa! Uno, due, tre, prova! Ecco Ezio di nuovo qui con voi per raccontarvi della visita…

Prima di tutto volevo sappiate che non ho capito bene da che genere di dottore io sia stato portato, dottoressa in questo caso. Se non ricordo male, ma, come noto, io bene non ricordo quasi mai, credo sia una psicoqualcosa.

Però, la sua stanza è bella, tutta bianca (che è il mio colore preferito) e luminosa. Il sole entra dalle finestre che danno all’esterno.

L’unica cosa strana è lei. Non ha il camice bianco, ma un vestitino a fiori coloratissimi che sembra un quadro di quel pittore lì, avete capito a chi mi riferisco, non fatemi fare sforzi di memoria che tanto non mi verrà mai in mente…

Non ha al collo quella collana strana dei medici che termina da una parte con due buchi e dall’altra con un disco metallico, che è sempre freddo sulla schiena e sul petto, nonostante il medico lo riscaldi con la mano (secondo me fa finta di farlo).

La scrivania è di vetro, grande e pulita. Non come gli specchi di casa mia, che questa qui, RosaMariaIndia (è seduta anche lei davanti al medico come se dovesse far la visita lei), non li pulisce mai.

Ha poche cose sopra ma interessanti. Per esempio, le palline di acciaio legate a una barretta; io me le ricordo, servono per fare esperimenti ma penso che lei, la dottoressa, le abbia messe per motivi che ora mi sfuggono.

Provo a spostarne una e come per magia l’ultima dall’altra parte si muove, torna indietro e si sposta quella che avevo toccato io. Le tre in mezzo ferme, come soldati comandati sull’attenti per punizione.

Mi dicono in coro di smettere e di ascoltare quello che la dottoressa dice. Credo mi stia spiegando che devo fare un esame, un test, sono queste le uniche parole che sento, così affascinato dal tic tic delle palline d’acciaio che si scontrano tra loro.

La dottoressa mi mette davanti un foglio, mi dice che devo affrontare una domanda alla volta. Ci sono cose strane, disegni, numeri, parole.

Ma io sono un fenomeno alla Settimana Enigmistica, non ti temo.

Lei prende una sveglia sul tavolo e fa partire il cronometro, io muovo la Regina e la blocco (la sveglia mica la Regina). Due mosse e le do scacco matto.

Sulla sua destra ha una cosa che mi ha sempre affascinato, un dado gigante senza numeri ma con le facce colorate. Allungo il braccio e lo afferro. Inizio a muoverlo da tutte le parti e le facce diventano multicolori, che bello. Quell’ordine non mi piaceva proprio…

Allora, con gentilezza, la dottoressa mi chiede il dado, con poche mosse tutto ritorna ordinato. Sei lati, ciascuno di un colore diverso. Mi dice che così dovrebbe essere la mente, razionale e pulita. Poi muove velocemente le mani e mi mostra una situazione strana, le facce sono per la maggior parte di un colore solo ma hanno dei quadratini di altri. Così è la sua mente ora, mi dice, dobbiamo fare in modo che non diventi caos; manipola il dado e ogni faccia torna come l’avevo lasciata io. Un gran casino.

Il dado sparisce in un cassetto, ora mi devo concentrare sul foglio.

Che giorno è oggi, scrivo boh, sarà martedì? Non mi sembra che apprezzino molto il mio sforzo di memoria.

Devo riprodurre un disegno che la dottoressa mi ha appena fatto vedere, per un secondo, forse anche meno. Io guardavo il suo anello, il disegno proprio non l’ho visto. Faccio un sole sorridente, che va sempre bene.

Poi devo contare da 49 in avanti saltando i numeri pari. Mi metto in piedi al centro della stanza, mi guardano come fosse scemo.

49 e salto, 51 e salto, 53 e salto.

Ridono, lo so, alle donne le faccio ridere, da sempre. È così che poi s’innamorano di me, ma questa dottoressa è troppo giovane per me. O forse io troppo vecchio per lei. Chissà?

Ora devo farlo all’indietro, saltando i dispari e partendo da 100. Facile, no?

100, salto e quasi cado, saltare all’indietro non mi è mai piaciuto, insisto, 102, 104. Devo andare all’indietro, mi ripete; allora vado con le spalle alla porta. Mi fermano, non apprezzano.

Basta, le Olimpiadi le hanno già fatte e ho quattro anni per prepararmi per le prossime.

La dottoressa mi mostra delle foto di animali e io dovrei dirle i nomi. Ma francamente non so rispondere. Che ne so se il cane si chiama Bobby o Frida e il gatto Stella o Saltellino. Poi per non parlare del maiale, dell’elefante e quell’animale con il corno sul muso. Ma chi va a mettere il nome a queste bestie?

Abbiamo quasi finito, mi dice di scrivere un pensiero semplice su qualcuno che conosco bene, che amo o che ammiro.

“Il netturbino è mio amico, ramazza il marciapiede e s’interrompe quando passo. Mi saluta sempre come sta oggi signor Ezio? Io gli rispondo, bene grazie e tu come stai Coso?”.

La dottoressa ride di gusto. È persa ormai, quasi quasi la invito per un caffè.

Poi mi distraggo, guardo in giro, sento le due donne che parlano tra loro. Non m’interesso, probabilmente si scambiano ricette o consigli sui trucchi.

Quando usciamo e siamo in attesa del taxi, io volevo andare a piedi, tanto è vicino, dieci chilometri, dieci minuti, ma RosaMariaLinda Qualcosa non è d’accordo; telefona a mia figlia, le dice che insomma non sono migliorato anzi, le cose vanno peggio.

Non so a cosa si riferisca, niente di buono, può darsi a qualche parente suo, starà male laggiù in India, magari lo hanno sfrattato dalla capanna fatta di pelle di bisonte.

Ora sono nella mia poltrona preferita. Mi guardo un bel programma sugli alieni. Su di me, noi, in fondo non siamo tutti un po’ alieni su questa terra?


P.S.: casa mia è sempre aperta, nel senso che basta citofonare, suonare, bussare e sarete i benvenuti. Se poi portate un vassoio di paste ancor di più. Però prendetele dalla pasticceria all’angolo, è meno famosa dell’altra ma li conosco da cinquant’anni e so che non ci mettono schifezze chimiche che alterano il cervello, il mio è già mezzo andato e non ho bisogno di aiuto.


Ritorno…

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