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La fine dell’Alzheimer

La fine dell’Alzheimer

Dale E. Bredesen

2024

Forse è bene iniziare, per parlare di questo libro appassionato ed assertivo, dal resoconto (uno dei molti riportati in queste pagine) che una paziente del dottor Dale E. Bredesen mette a disposizione di questo testo e che illustra la sua giornata tipo da quando segue il protocollo ideato appunto dal suo dottore e argomento di questo “ La fine dell’Alzheimer”: pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2017, è il risultato di circa un trentennio di ricerca e di studi che Dale Bredesen, neurologo specializzato in malattie neurodegenerative, ha dedicato all’Alzheimer e all’approccio verso di esso, da sempre sostanzialmente fondato sull’assioma, ci dice l’autore, che la malattia, sin dal suo primo manifestarsi e fino alla fine sia incurabile e il suo decorso sia irreversibile quando invece l’esito delle sue ricerche dimostrerebbe, e ce lo racconterà con dovizia di particolari, la possibilità del contrario.


La giornata  tipo stabilita dal protocollo, e tarata sulle specifiche caratteristiche di ogni singolo paziente,  è dunque incentrata (riassumendo alla svelta) su una dieta controllatissima, tanto negli alimenti (in questo caso dieta gluten-free, ipoglicemica, prevalentemente vegetale) come nella scansione oraria dei pasti, su una accurata igiene personale (in questo caso anche ayurvedica), su terapie ormonali, sull’esercizio aerobico, su pratiche di meditazione e yoga, sull’assunzione di svariati integratori, su un corretto rapporto sonno/veglia e molti altri comportamenti e cure giornalieri (oltre allo svolgimento, qualora possibile,  delle proprie attività lavorative).

ReCODE (Reversal of cognitive decline) è il nome del protocollo che Bredesen ha studiato e perfezionato: in sintesi e in sostanza, la tesi che deriva da  queste ricerche è che, soprattutto nelle prime fasi della malattia (non sembrano esserci esempi significativi relativi a stadi avanzati) o per soggetti predisposti per familiarità o perché portatori di  particolarità genetiche come ad esempio l’ApoE4 l’intervento debba essere differenziato e debba comprendere tutti gli aspetti e considerare tutte le possibili cause dell’insorgenza della patologia. Bredesen individua infatti tre insiemi di fattori (infiammazioni dell’organismo, perdita e carenza di nutrienti, ormoni e altre molecole a supporto del cervello, contatto duraturo con sostanze tossiche come metalli o biotossine) alla base dello sviluppo dell’Alzheimer e definisce un certo numero di  meccanismi che contribuiscono alla fisiopatologia e con i quali interagire massivamente e tempestivamente (Bredesen ha una prosa vivace e usa spesso immagini colorite e apparentemente leggere per descrivere le sue convinzioni e in questo caso descrive il cervello affetto dalla malattia come un tetto con trentasei buchi: intervenire su uno soltanto o su pochi di essi, ci dice, è del tutto inutile se non controproducente). Convinto che una terapia farmacologica mirata ad uno soltanto o a limitati aspetti della patologia (come, per esempio,  per decenni è stato l’approccio verso il Beta Amiloide) sia del tutto inefficace e anzi spieghi il perché di un effettivo, decennale, stallo nel progresso della ricerca (contrariamente a tutti gli altri ambiti, dai tumori alle malattie cardiovascolari o ad altre neurodegenerative) Bredesen, invitando chiunque, per via di sintomi e evidenze o anche solo per età, familiarità genetiche, abitudini più o meno scorrette,  a far tracciare una mappa più vasta possibile delle proprie disfunzioni sostiene, sorretto dai risultati di alcune centinaia di casi da lui seguiti, che sia possibile giungere ad un generale miglioramento se non addirittura ad una reversibilità nel decorso della malattia (dallo stabilizzarsi dell’umore alla chiarezza del ragionamento, alla ritrovata proprietà di linguaggio, alla diminuzione della perdita della memoria, e numerose sono le testimonianze dirette raccolte nel libro).


Oltre ad essere sottolineato più volte dall’autore stesso, appare implicito il concetto di “puntualità” nel predisporsi all’attuazione di questo protocollo ReCODE: intervenire in tempo su ognuno di questi fattori, dalla nutrizione alle infiammazioni al rapporto con l’ambiente circostante e le sue potenziali tossicità porta, dice Bredesen, a far sì che il cervello non sia costretto a “difendersi” da questi attacchi (infatti è anche per questo, spiega Bredesen, che il cervello gradualmente si “ritira”, riduce le sinapsi e si atrofizza con tutte le tragiche conseguenze sulle sue funzioni). L’autore inoltre non nega l’importanza dei, pochi, farmaci attualmente in uso nella terapia (la Memantina, il Donepezil) ma ne considera l’utilizzo, qualora indicato, a latere per così dire della sua terapia (farmaci dessert, li chiama infatti spiritosamente) la quale invece deve essere, ci avverte, seguita con molta disciplina e nella sua interezza, al limite del sacrificio, perché i risultati possano manifestarsi in un tempo relativamente breve e in maniera soddisfacente.

È un libro curioso questo, coinvolgente, assai sicuro nella elaborazione delle sue tesi, molto ricco di spunti e particolareggiato di esempi e brillante nel loro svolgimento ed è poi Bredesen stesso, quasi alla fine, a riportare alcuni dei dubbi e delle perplessità che questi studi hanno suscitato nella comunità  scientifica e a riconoscerli come tipici di ogni momento storico nel quale la ricerca, in qualsiasi campo, prende direzioni inattese, nuove se non addirittura anticonvenzionali e così sarà solo il tempo, come sempre del resto, a dirci quanto solido e quanto duraturo e soprattutto quanto efficace potrà essere il percorso intrapreso per il protocollo ReCODE.

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