top of page
libri.jpg
Mia madre è un fiume

Mia madre è un fiume

Donatella di Pietrantonio

2022

Raramente capita che il titolo di un libro sia così preciso, così puntuale (nell’identificazione di un personaggio, di una condizione) e allo stesso tempo così allusivo riguardo qualcosa che ci sfugge, che non arriviamo a definire del tutto, che non riusciamo a trattenere. Il titolo del primo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, del 2011,  riesce perfettamente  a restituire questa sottile ambivalenza, suggerendo addirittura un ulteriore piano di lettura, quasi scultoreo, nel quale la figura della madre, dapprima instancabile e distante poi fragile e silenziosa protagonista del racconto, si fa tutt’uno con la natura circostante e con la Storia, in un impasto assai denso e palpitante.


Dunque, Esperina “è un fiume. Erano un fiume i suoi capelli scuri e sottili che la corrente divideva ai lati del viso, onde a cascata sul seno, li pettinava la sera, dopo tutte le fatiche”. Esperina, la madre un tempo “inaccessibile” della voce narrante, viene accompagnata dalla figlia, giorno dopo giorno, a ritroso lungo l’alveo della sua esistenza: perdendo gradualmente la memoria, la sua vita  viene ricostruita quasi pezzo per pezzo, meandro per meandro, dalle parole della figlia che riproduce insieme ai suoi ricordi personali i racconti che ha ascoltato dalla madre ( “le posso solo affabulare la sua vita” dice), a partire dalla sua infanzia insieme alle sorelle, ai suoi genitori, alle zie e poi con Cesare, suo marito e padre dell’autrice, protetti tra le mura di casali antichi e soprattutto legati a una terra, l’Abruzzo, aspra, faticosa, povera, ma colorata, odorosa, luminosa, e soprattutto vera. Sono pagine in effetti molto realistiche, asciutte eppure assai vivaci, quelle che compongono questo multiforme affresco – è un Abruzzo fatto di bestie da macellare, di raccolti da preservare dal maltempo, di antichissimi rituali e credenze, di mezzadri, miseria e analfabetismo, e poi di paesaggi, paesaggi maestosi e totalizzanti – che si contrappongono ad accurate e spigliate descrizioni delle ore che le due donne, ora, trascorrono insieme: la figlia infatti accudisce ogni giorno la madre (il padre, intanto, osserva in disparte) nelle piccole incombenze quotidiane che la malattia rende giorno dopo giorno più difficoltose. Cucinare, mettere in ordine, cucire (“Ci perdeva il sonno, ha confezionato tovaglie, tende, centrini di ogni forma”, ricorda Di Pietrantonio), ogni dettaglio minimo eppure essenziale viene sorvegliato con delicatezza (a volte però anche con rabbia o insofferenza) dalla figlia, desiderosa di recuperare tempo e vicinanza in un rapporto non sempre facile e oltretutto condizionato da un sotterraneo quanto immotivato senso di colpa, mitigato però dalla concretezza, evidenziata dagli esami clinici, della sua atrofia cerebrale: “Allora non sono stata io ad ammalarla”.


“Oppure un albero”, scrive Di Pietrantonio in questa ricerca di una definizione, quasi naturalistica: infatti definire una storia e una personalità, e i rapporti con esse condivisi, non è per nulla semplice, soprattutto se si assiste dolorosamente al loro progressivo, inesorabile svanire. Eppure in queste pagine la figura di Esperina si staglia, o meglio scorre con forza e limpidezza (insieme a quelle dei tanti personaggi che abitano con lei quel ristretto territorio racchiuso tra gli Appennini e le loro valli e l’Adriatico, che si percepisce in sottofondo) in una realtà sociale dura, di poche parole, a tratti violenta, a volte festosa e spensierata, sicuramente povera. E l’autrice questo territorio e questa realtà li conosce talmente bene che restituendone ogni anfratto, ogni inciampo, ogni essenza (ogni sapore anche, ogni suono, ogni odore, di animali come di umori) rende alla madre – e a chi legge – della quale da bambina e poi per tutta la vita ha ricercato l’attenzione il miglior antidoto al dissiparsi, non soltanto patologico, della memoria. L’importanza e la forza di questo racconto risiedono proprio qui, in questa sorta di mappatura storico-geografica, vista dall’alto e dall’interno al tempo stesso, che delinea un paesaggio di sfumature diversissime tra loro e di storie antiche eppure in continuo divenire, proprio come quello più intimo di Esperina – e come potrebbe esserlo quello di chiunque –, un paesaggio un tempo saldo e inattaccabile e adesso fragile ma ancora intenso e finalmente accogliente, perché corroborato dall’attenzione, dalla  dedizione e naturalmente dalla mai tardiva tenerezza.

“Come posso ricordarmi di tutto? Me l’hai raccontato tu, molti anni fa”.

federazione alzheimer italia
trasparenza

Associazione Alzheimer Roma ODV

Via Monte Santo, 54 - 00195 Roma

Telefoni / WhatsApp 06 375 003 54 -  379 261 37 58 - 379 198 85 87 

Codice Fiscale 96366260584

Iscrizione RUNTS N° G16954 del 02/12/2022 Sezione A - Organizzazioni di Volontariato

bottom of page