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Una vita un po' così

Una vita un po' così

Gemma Ghiglia

2024

Con un tocco apparentemente leggero ma puntuale Gemma Ghiglia, verso la metà del suo resoconto, colora quelle che fin lì erano apparse come inquadrature molto movimentate, molto divertenti a volte, altre volte drammatiche, ma realizzate in chiaroscuro, per così dire: dopo aver in un certo senso confessato una sua tendenza all’indifferenza (lei non ha infatti una idea particolarmente sentimentale della vita così come della morte, afferma, né si sente particolarmente attaccata alle cose: della vita “acchiappa pezzetti” e tutto il resto viene e va, dice ancora) lascia affiorare il ricordo di uno sconosciuto visto un giorno per strada, con i capelli bianchi come la maglietta che indossa e una giacca nera, che insegue un tram tenendo un mazzo di rose rosse in mano, “bellissime”. L’uomo cade, le rose si spezzano e dopo essersi rialzato l’uomo riesce a raggiungere il tram e a salirci. Il tram è la vita, ci dice Gemma, l’uomo è lei stessa, i fiori spezzati sono i suoi genitori.


Gemma Ghiglia con questo libro ci racconta parte della sua vita, di quella dei suoi genitori, dei suoi nonni, una vita come tante ma segnata profondamente da due eventi tragici: la perdita della giovane madre per un incidente stradale quando lei aveva solo quattro anni e la manifestazione dei primi sintomi dell’Alzheimer che colpisce il padre quando di anni ne aveva appena sedici, lei, e cinquantasei il padre: la giovane età dei due protagonisti principali (Gemma e suo padre Riccardo) è il cardine intorno al quale inevitabilmente ruotano gli avvenimenti descritti nel libro, in un moto di costruzione e decostruzione delle loro identità, costruzione e decostruzione che coinvolgono entrambe le personalità, mescolandole come instabili fluidi, fino al raggiungimento di una ineluttabile stabilità.


Gemma ci parla di suo padre Riccardo – Riccardo prima della malattia e “papà” quando deve prendersene cura – usando varie tonalità: spensierate quando ne racconta le caratteristiche e le passioni (la politica, il naturismo, l’insegnamento, gli amori), affettuose quando descrive le sue fragilità (tra le altre, la più dolorosa: la consapevolezza, da subito e per lungo tempo manifestata, della sua condizione e del suo destino), rabbiose quando non nasconde lo sconforto e la frustrazione per il decorso rovinoso della malattia (e poi però, molto spesso riporta i fatti o ritrae le persone coinvolte con qualche incertezza, per pudore forse, o forse per delicatezza) e allora, giocoforza, la protagonista assoluta diviene lei, una ragazzina di sedici anni costretta troppo presto  a gestire qualcosa di inaspettato ed enorme, a partire da quello che è stato “senza ombra di dubbio l’anno peggiore della mia vita”.


Alla costruzione della propria identità dunque si oppone la decostruzione di quella del padre (circostanza così precoce, viene sottolineato più volte con premura) e i due moti, come già accennato, si mescolano in continuazione e pericolosamente: la ragazza intraprende il doloroso percorso al fianco del padre individuando di volta in volta, da sola o con l’aiuto degli altri, le strade e gli strumenti, per lei fino ad allora ignoti, per andare avanti (senza reticenza tra l’altro, Gemma racconta di risorse economiche che nel loro caso fortunatamente non mancano, mettendo così in luce e per contrasto un aspetto in molti altri casi invece assai gravoso).

Riccardo – papà – morirà dopo otto anni dalla diagnosi per una congenita malformazione cardiaca e Gemma attraverserà un lungo periodo di dolore, di debolezza, di depressione ma anche di consapevolezza e di ricostruzione di sé, della propria personalità, delle proprie relazioni fino ad oggi, fino alla trentenne che ora ci racconta con passione la storia di suo padre.


Questo libro ci conduce in un territorio assai impervio e faticoso tra i molti che l’Alzheimer costringe a sperimentare, ossia quello della sua non impossibile comparsa anzitempo: la relativa giovinezza del paziente infatti e quella assoluta, in questo caso, di chi lo assiste e lo guida aggiungono ulteriore drammaticità e sofferenza a un evento già di suo doloroso e preludono alla possibilità di esistenze durevolmente e forse definitivamente compromesse (ancora lucidamente e coraggiosamente, Gemma non nasconde il sollievo per la naturale fine della sofferenza del padre) e che soltanto la dedizione, l’ascolto di sé e soprattutto l’aiuto degli altri, ci dice chiaramente Gemma Ghiglia, possono fare in modo che il tempo di fronte a sé  e ai propri cari sia il più possibile costruttivo e puntellato d’amore, nonostante tutto.

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