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Fiori sopra l'inferno
Ilaria Tuti
2021
Dove siamo? Siamo ai piedi delle Dolomiti, in Friuli al confine con l’Austria, a Travenì, piccolo villaggio circondato dalla maestosità delle montagne e dalla tetra profondità dei valloni, da antiche cave e oscure dimore e qui, tra la protettiva, se non addirittura claustrofobica, fermezza della comunità attorno alle loro tradizioni e ai loro segreti e contro quella che percepiscono come l’invadenza della modernità con le sue strutture turistiche e i loro cantieri, e le stagioni che scandiscono rigidamente le relazioni umane e le attività, si muovono i personaggi di questa storia che inizia negli ultimi giorni di un autunno di piogge fredde miste a nevischio e attraversa un cupo inverno ammantato di neve e paure, fino ai primi accenni della primavera e del risveglio della natura, quasi sopita lungo tutto il romanzo.
Cosa succede? Succede che il corpo deturpato di un uomo viene ritrovato, nudo, disteso sull’erba “…Tra le dita spuntava qualche fiore invernale dai petali pallidi e trasparenti. Sembrava un dipinto…” mentre poco lontano da lì quattro bambini si incontrano per una delle loro consuete avventure. Da questo momento in poi il commissario Teresa Battaglia assumerà la conduzione delle indagini che si concentreranno su una serie misteriosa e ravvicinata di altre aggressioni, assistita da un ispettore, Massimo Marini, alle prime armi con il quale instaurerà un rapporto spesso contrastato, marcato dalla diffidenza e a volte da asprezza: il carattere del commissario Battaglia, scopriamo infatti andando avanti nella lettura, pur incontrando improvvise aperture di tenerezza, è spesso brusco e caparbio “…non ha senso dell’umorismo…” ed è dedito quasi esclusivamente al lavoro mentre il suo corpo è severamente minacciato dal diabete ed è segnato da un passato di violenza e di sopraffazione “…Aveva solo sperato di non dover più soffrire in modo così violento e la vita sembrava averla accontentata: il dolore era diventato una parte di lei, non più ostile…”. Durante le indagini Teresa Battaglia avrà a che fare, aiutata dall’ispettore Marini e dal suo staff, con più interlocutori, dall’ottuso capo della polizia Knauss al medico Ian, scienziato e devoto, ai bambini Mathias, Lucia, Diego, Oliver e ai familiari delle vittime delle aggressioni, che dal ritrovamento del cadavere si susseguiranno, sempre cruente e sempre più inspiegabili nelle modalità e nell’esito e dovrà dunque risolvere una trama che si fa di ora in ora più oscura di pari passo con l’incedere dell’inverno e del buio.
Cosa succede veramente? Succede che Teresa Battaglia si rende conto che la sua mente, la sua persona, la sua individualità, sono aggredite dai primi sintomi dell’Alzheimer: se ne rende conto “…Per un momento, la notte precedente non era stata in grado di ricordare il nome degli oggetti che usava ogni giorno…” da sola “…Assieme alla luce che si era accesa spalancando lo sportello del frigo, era comparso qualcos’altro: il nulla…” e forse anche in relazione con gli altri “…Aveva scorto in lui un guizzo allarmante, a un certo punto l’aveva guardata come se fosse consapevole della paura che stava provando…” e comunque sempre più frequentemente “…Il corpo reagiva, era la mente a restare indietro. Faticava a seguire i discorsi, ad afferrare le parole che aveva in mente e a dare loro un ordine…” e frequentemente ne condividiamo la descrizione leggendo gli appunti che annota con scrupolo sul suo diario. A questo punto ci troviamo di fronte alla vera, inaspettata, materia pulsante di questo romanzo. Il mondo circostante, quei paesaggi così maestosi e imperscrutabili, quei colori che il buio incipiente dell’inverno e la neve sempre più copiosa nascondono, gli ostici abitanti di Travenì, i collaboratori del commissario, le vittime delle aggressioni diventano, con l’avanzare dei timori di Teresa, via via più corpose e soprattutto lo diventano, pagina dopo pagina, le riflessioni, le supposizioni, le congetture di Teresa Battaglia, che si fanno appunto più concrete, lucide, quasi palpabili in un gioco avvincente tra astrazione e concretezza, tra trasparenza e opacità, tra friabilità e durezza. E in questo gioco si inserisce la figura, dapprima sfocata poi sempre più incombente dell’autore di quei delitti: un mostro “…Qualcuno dovrà prima o poi spiegarmi che cos’è un mostro…” a sua volta vittima innocente di mostruosi esperimenti condotti, nel dopoguerra, da uno scienziato austriaco con la finalità di estirpare del tutto l’umanità dai bambini oggetto del suo turpe intento, privandoli di tutto ciò che forma e definisce qualsiasi essere umano. Il confronto, o meglio, il dialogo, muto ma incalzante, tra queste due personalità, quella di Teresa Battaglia, lucida, strutturata, smaliziata ma altrettanto lucidamente consapevole di un imminente, irrimediabile crollo e quella di Andreas, il mostro appunto, mai sviluppata “…Andreas comunicava con i sensi, come avrebbe fatto un cervo o un’aquila nel mondo da cui proveniva...”, alienata “…Dobbiamo cominciare a pensare come lui, cambiare prospettiva…”, spaventosa “…Il ragazzo affondò lo sguardo in un volto di teschio…”: due personalità fatte di una materia apparentemente così diversa, così antitetica ma forse proprio per queste ragioni anche così simili “…Come lei, solo. Come lei abituato a bastare a sé stesso…”, così spaventate e incapaci entrambe di dirlo “…Non voleva dare un nome ai suoi sospetti, ma si chiese quale futuro l’aspettasse, quanta forza le ci sarebbe voluta per affrontarlo, e quanto tempo le sarebbe stato accordato…”.
Come va a finire? Andreas è sopravvissuto agli esperimenti ma non un altro bambino suo compagno, i cui poveri resti veglierà dopo la sua uccisione da parte dello scienziato costretto alla fuga e che saranno da lì in poi la sua unica, inerte relazione. La sua personalità però “…il soggetto Alpha è attivo e cosciente di sé…”, non del tutto annullata da quegli esperimenti, lo indurrà a cercare di “restituire” la vita, seppure inconsapevole dei concetti stessi di vita o di morte, a quel suo compagno utilizzando le parti di corpi che sottrae brutalmente alle sue vittime, fino a quando le indagini di Teresa Battaglia, attraversando più strati, fisicamente sul territorio e tra le montagne e avanti e indietro nel tempo, un po’ come avviene con la sua memoria e la memoria di quei luoghi, ci conducono attraverso rivelazioni inattese verso il suo mondo, così tenebroso e nascosto e così strenuamente difeso nel corso della sua solitaria esistenza, e l’ultima vittima delle sue aggressioni, un infante da lui trafugato alla madre per carpirne l’anelito vitale “…Bambini. Sembrano il perno di questa girandola di morte e allo stesso tempo di speranza…” viene salvata insieme ad Andreas stesso “…Andreas esisteva su un altro piano rispetto al loro: primordiale, spoglio di ogni ipocrisia e umana bassezza…” che da Teresa verrà condotto verso un’altra, possibile salvezza.
Alla fine rimane, terminata la lettura di questo romanzo, il senso di coinvolgimento provato, in una maniera quasi tattile, per la natura e la consistenza della più impalpabile fragilità e quella apparentemente inscalfibile e fredda della lucidità e del coraggio.