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Racconti di Ezio - La doccia (episodio 2)

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Racconti di Ezio - La doccia (episodio 2)

Sono sempre io, Ezio. Quello delle chiavi, per intenderci…

Ieri, oggi, stamattina, non ricordo, Rosa mi ha detto che dovevo fare la doccia perché dobbiamo fare una visita. Dobbiamo chi? Io, lei o entrambi?

Non capisco comunque cosa c’entri la doccia. Me la faccio prima di entrare in piscina (ovviamente non ci vado mai), dopo una partita di pallone (anche se non gioco più da cinquant’anni) o se scalo il Monte Bianco (versante italiano, s’intende), non se devo andare dal medico.

Io sto bene e quindi dal dottore non vado. Poi la doccia, non se ne parla. Sono pulito e quindi non mi devo lavare. Si lavi lei, quella, RosaMariaQuantaltro, lei così scura che, secondo me, non fa un bagno da secoli, visto che non va al mare e non si spiega come possa avere la pelle così scura.

Di sicuro non è italiana, forse viene da qualche altro pianeta. Infatti, una mattina l’ho vista che faceva delle mosse strane su un tappetino. Stava a testa in giù, poi sembrava pregasse, ma su di una gamba sola, come i fenicotteri. Che beninteso, non pregano ma quando ficcano la testa in acqua stanno così. Non penso sia cattolica, perché mi ha detto che era un saluto al Sole. Poteva telefonare a ‘sto Sole per salutarlo, invece che fare tutte ‘ste capriole.

Mi sono già lavato le ho risposto. E lei insisteva, devi lavarti che è una settimana che “non fai doccia” (gli articoli le sono antipatici) e non ti cambi.

Stiamo scherzando, mi sono lavato ieri, sono pulito. Che bisogno c’è di farlo, cambiare i vestiti puliti? È uno spreco di corrente, acqua, tempo e fatica. Per lei e per me.

Lei mette tutto in frigorifero e poi via, tanto la corrente la pago io…

Lei si lava sempre, invece. Mi spreca tanta di quell’acqua che ci si potrebbe riempire il lago di Como.

Sta ore e ore sotto la doccia, si insapona, si lava i capelli e non chiude mai la porta del bagno.

E non è un bello spettacolo; beh, insomma, neanche brutto.

Fatto sta che l’ho accontentata, mica potevo litigarci ancora, poi si offende e non mi porta a fare il giro del palazzo, dal giornalaio o al parchetto. Perché queste marziane sono permalose e iniziano a parlare come sul pianeta loro e non si capisce nulla.

Però siamo giunti a un compromesso, usciamo un po’ prima, ci fermiamo al bar, mi faccio un bel caffè e un bel bicchiere di bianco.

Al bar, sapete, mi conoscono da cinquant’anni, da prima che si ammalassero di quella malattia strana che invece di un buon bicchiere di vino dei colli ti portano quella schifezza rossa con la cannuccia e il ghiaccio. Quattro patatine rinseccolite e olive morte prematuramente. Li accontento, sto al loro gioco, in fondo non è colpa loro se sono rimbambiti. Maria non beve alcol, dice che la sua religione lo proibisce, e poi lei è anche donna. Ai miei tempi le donne brindavano eccome, mi ricordo nei club notturni che allegria, che musica, che mises, la sera… Bei ricordi.

Ora mi bevo questa schifezza, mangio qualcosa e poi con passo fermo andiamo al parco. Passo sempre quando posso; lo faccio per salutare gli amici meno fortunati. Stanno lì, sulle panchine con lo sguardo vuoto, parlano tutti insieme rivolti a nessuno; ci fosse qualcuno che ascolti e che capisca.

Che brutta fine questi vecchi, spero proprio di non diventare come loro. Giocano a carte, uomini e donne, è già questo è strano, ai miei tempi ma anche in quelli delle buonanime di padre e figlio gli uomini si giocavano la birretta e le donne stavano a casa.

Sarà perché i vecchi sono rincitrulliti e non distinguono più una gonna da un pantalone?  

Ossignore, non ci capisce più niente.

Li saluto, nessuno mi risponde, andassero a quel paese, al paese loro, a raccontarsi all’osteria di quand’erano piccoli e quante ne combinavano.

Prendiamo un taxi, credevo che il medico fosse qui vicino, forse mi sbaglio o forse si è trasferito.

Lo studio è tutto bianco, che tristezza, i quadri niente di che, paesaggi, figure astratte e vedute di monumenti, il Colosseo di Verona, il Duomo di Roma e la chiesa del Papa che se non ricordo male sta a Gerusalemme. Neanche il ritratto di qualche bella ragazza. Sarebbe bastato la foto della segretaria e questo studio avrebbe cambiato volto.

Ora le chiedo se vuol farsi fotografare da me. Mi risponde che sì, un selfi lo fa volentieri. Le rispondo che non pratico di quello sport, al massimo le bocce, quando la schiena non fa i capricci.

Lei sorride a MariaStellaSole che le corrisponde, iniziano a parlare strano, non le seguo. No, non sono agitato perché non so che mi aspetta dietro quella porta.

Intanto penso dove ho messo la macchina fotografica, se veramente l’ho avuta mai, se l’ho regalata a qualche figlio, che a proposito dovrebbero essere due.

Tocca a me, ci avviamo verso la stanza del medico, dicono sia la tre. La uno, la due o la tre?, come diceva quel presentatore…

Mi fermo, guardo le persone in attesa nel corridoio, tutte le stesse facce, come se aspettassero un verdetto, ergastolo o libero. Quasi quasi me ne vado, hai visto mai che il giudice mi condanna a morte?

Ma tanto dobbiamo morire di qualcosa, anche se mi scoccia morire giovane a ottantasei anni. Non sono tanti, credetemi, i numeri arrivano fino a mille e più, quindi…

RosaMariaNonSo bussa, da dentro una voce femminile ci dice di entrare; di quello che è successo lì dentro vi racconto la prossima volta. Promesso.

 

P.S.: vi ricordo di passare a casa mia, magari citofonate che scendo di corsa, vi porto al Centro anziani, al parchetto, ci facciamo una partitina a bocce o a carte, che non ne posso più di saluti al Sole, io il sole lo voglio vedere...

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